In concerto, con i vincitori del recente Concorso "Belli" di Spoleto, la "joie de vivre" nel Vecchio Continente tra '800 e '900, in uno degli appuntamenti del Festival delle Nazioni 2015
«Che tenerezza, che allegria, che mondo assurdamente amato e assurdamente perduto. C'è tutto, come al cinema, come nel melodramma, tutto presente; e tutto da non crederci», scrive Lorenzo Arruga a proposito del mondo dell'operetta, che ben conosce. Genere 'leggero' per antonomasia che, nei suoi alti e bassi, non è mai scomparso del tutto dai nostri teatri, facendo capolino qua e là – in questi ultimi anni a Palermo viene organizzata una piccola manifestazione estiva al Teatro di Verdura. Nondimeno piange il cuore a vedere come la maggiore e storica rassegna del Bel Paese – il Festival dell'Operetta di Trieste – pare essersi inabissata nel mare che fronteggia il Teatro Verdi ed il Politeama Rossetti, e forse non riemergerà mai più. Ci restano per fortuna almeno tre compagnie stabili, quella di Corrado Abbati e la Compagnia Italiana di Operette al Nord, la Compagnia di Operette Zappalà al Sud, a girare in lungo e in largo la Penisola; certo è che assai meglio va agli appassionati di questo repertorio - e sono molti - se si prova a valicare le Alpi: recandosi in Austria, cioè, in Germania, in Francia, in Spagna, tutti paesi di grandi tradizioni operettistiche, dove possono contare su molte rassegne specialistiche ed in produzioni nuove e frequenti, e spesso pure di lusso.
Benvenute dunque quelle rare occasioni in cui, bene o male, possiamo ascoltare alcune di queste meravigliose melodie, come in questa piacevole serata inserita nel ricco cartellone del 48° Festival delle Nazioni di Città di Castello, dedicato quest'anno all'Austria, ed intitolata “Belle Époque e Operetta – La joie de vivre in Europa prima dell'abisso della Grande Guerra”.
Scafato uomo di spettacolo, e sopra tutto esperto interprete d'operetta, Vincenzo Failla ha ideato uno spettacolino teatrale in costume, senza troppe pretese – sul palco due tavolini da tabarin, qualche sedia Thonet, un separé, un grande pianoforte - che ha tuttavia centrato in pieno lo scopo che si prefiggeva: rendere un quadro sintetico e piacevole, tra cronaca e musica, dei decenni di passaggio tra Otto e Novecento. Quel lungo periodo, cioè, che viene detto appunto comunemente “La Belle Époque”. Il suo piacevole discorrere – leggendo per noi un testo intrigante e variegato – prende le mosse dalla inaugurazione dell'impianto di illuminazione elettrica del Teatro alla Scala, in occasione del balletto Exclesior – non a caso, fastosa apoteosi coreografica delle nuove conquiste tecnologiche di fine secolo – e procede parlandoci poi di tante cose: della Parigi degli Impressionisti, dei viveurs e dei grandi avventurieri, dei primi viaggi in transatlantico e del Titanic, dei vari modi di frequentarsi e divertirsi, e di tante altre cose piccole e grandi che hanno caratterizzato quegli anni, tragedia della Grande Guerra compresa. E lo fa con linguaggio garbato, ironico, ammiccante, portandosi dietro il tenero rimpianto di un'epoca che non c'è più. Ogni tanto, dalle sue parole scaturisce l'occasione di una pagina musicale, e sono brani dalle più famose operette di Lehár, Kálmán, Strauss jr., Benatzky, e dei nostri Lombardo e Ranzato, interpretati da quattro dei vincitori dell'ultimo Concorso “Belli” di Spoleto, vale a dire il soprano Rosaria Fabiana Angotti, il mezzosoprano Beatrice Mezzanotte, il baritono Alec Roupen Avedissian, il tenore Marco Rencinai, accompagnati al piano da Lorenzo Orlandi.
A onor del vero, giovani cantanti un tantino impacciati nell'affrontare un repertorio – ed uno stile di canto - a loro evidentemente ignoto, con l'eccezione dell'ultimo - Marco Rencinai - che ci è parso naturalmente più spontaneo ed a proprio agio. Ed in effetti, abissale era la distanza con la bravura e la spigliata disinvoltura con la quale Failla ci ha restituito, da par suo, un divertente quadretto comico da café-chantant di Alfredo Mazzucchi, L'innamorato pazzo, nonché l'insinuante Tangolita da Santa Fè tratta da Un ballo al Savoy di Paul Abraham. Lavoro teatrale che, con No, no, Nanette di Vincent Youmans di cui abbiamo ascoltato con grande piacere il celeberrimo The for two, è uno dei passaggi di testimone dal mondo raffinato dell'operetta europea a quello del più rutilante e moderno – ma assai meno poetico – del musical americano.
Lo spettacolo si è tenuto il 28 agosto nello spazio del cortile dello storico Castello Bufalini in San Giustino, località vicina a Città di Castello, splendida dimora storica recentemente restaurata ed aperta al pubblico.